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Inferno e Paradiso, umano e divino, impegno civile e sociale: Dante è l’autore dell’immensità del male e, nello stesso tempo, della contemplazione del sovraumano. 

Quando ci imbattiamo in un “classico” vediamo spalancarsi, con docili movenze, l’eternità e la finitezza dell’essere umano: classico è per noi un autore che ha dato dell’uomo e del suo mondo una rappresentazione, che si distingue dalle altre contemporanee per la molteplicità degli aspetti che coglie, per la profondità dell’analisi. Nell’opera di un classico, condizione esistenziale e storica si compenetrano e l’interiorità dei personaggi è il paradigma di una situazione collettiva, sintesi di un’età. “Un vero classico” scriveva Sainte-Beuve nel 1850 “è un paradigma che ha arricchito lo spirito umano, che ha afferrato qualche passione eterna in questo cuore dove tutto pareva esplorato e conosciuto, che ha parlato a tutti in uno stile tutto suo nuovo e antico, felicemente contemporaneo di tutte le epoche”. Ecco, dunque, la grandezza di un classico come Dante, il suo saper essere “hic et nunc” in ogni tempo e luogo, la capacità di parlare in chiave universale al cuore umano e al sentire comune. Anche nella sua esperienza biografica, l’esilio non è così lontano dall’allontanamento forzato dalla propria patria a cui oggi assistiamo in innumerevoli occasioni: l’esilio è per Dante lacerazione affettiva, abbandono di “ogni cosa diletta più caramente”, separazione dalla comunità, dal “bell’ovile” (prospettiva ribadita anche nelle Epistole: “Exul immeritus, florentinus natione non moribus”). Ciò che colpisce nel viaggio ultraterreno, che Dante presenta nella Commedia, è proprio la natura del Dante personaggio, distinto dall’autore: per un verso è un fiorentino del Due-Trecento con i suoi rancori e i suoi odi di parte; per un altro verso è esempio di un percorso che dal peccato porta alla consapevolezza e, attraverso la penitenza, alla salvezza. In tal modo confluiscono e si fondono mirabilmente contingente ed eterno. Questa duplicità di aspetti si estende anche alla schiera dei personaggi che popolano l’intera opera: le loro singole storie diventano veicolo di riflessione e insegnamento e, come ribadisce il Sanguineti, questi personaggi sono definiti nella loro concreta realtà e, nel medesimo tempo, sono forme di una realtà spirituale e morale, archetipi eterni della condizione umana. Interessante e carica di significati simbolici è anche la concezione del ruolo dell’intellettuale riscontrabile nel Convivio. Dante ha piena coscienza del suo valore intellettuale e della sua condizione di exul immeritus, ma da ciò non trae motivo per un isolamento, che si sarebbe potuto tradurre in una produzione elitaria, e così si muove in direzione opposta, assegnando al dotto un preciso compito: quello di dispensare la cultura agli altri, facendosi portatore di verità e moralità, “inducere gli uomini a scienza e a vertù”. 

Dell’uomo di tutti i tempi, come del nostro Dante, è l’esigenza di una giustizia che sia eliminazione delle lotte intestine, realizzazione di quella pace che è il fine al quale la società umana deve essere protesa, cioè una “vita felice”. La sacralità che Dante rappresenta icasticamente nel Paradiso non è qualcosa di remoto, ma è emblema della tensione verso l’Assoluto, che l’essere umano manifesta nella propria esistenza, la necessità di un divino così estraneo da qualsiasi logica umana, che ci conduca sulla via della salvezza e della bellezza. 

Per la malvagità dell’uomo espressa nell’Inferno, si rende necessario un percorso di purificazione, a sua volta indispensabile per ammirare l’armonia dei Cieli. È proprio quel “trasumanar” al quale Dante va incontro che desideriamo ardentemente nelle nostre esistenze: siamo soffi di vento alla ricerca di una realtà che lenisca i turbamenti del vivere e li tramuti in motivo d’azione. 

Ecco, dunque, l’attualità degli insegnamenti danteschi: oltre alla brutalità del peccato, c’è un divino a cui tendere che eleva lo spirito e lo rende degno di agire e soffrire. 

L’uomo è sì l’emblema del male, ma è anche creatura meravigliosa, che può convertirsi alla bellezza ed

essere da essa plasmato. Siamo l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, siamo tutto e nulla, siamo gli stessi uomini che Dante, il classico per eccellenza, ha saputo dolcemente raffigurare con estrema sensibilità.

 

Alice Rizzo, IVA Quadriennale

 

L’immensa fiducia nell’uomo

 

La Divina Commedia ci propone un campionario di immagini che personificano i più variegati valori, di cui l'uomo di ogni tempo dovrebbe farsi portatore. 

Tuttavia, leggendo e vivendo i versi danteschi, si può scoprire come essi facciano riferimento all'essere umano in quanto tale, all'umanità nella sua totalità che, nonostante si caratterizzi delle diversità che differenziano ciascuno di noi, propone la stessa impronta sulla sabbia, come un viandante che percorre una via nello stesso spazio e tempo. 

La Commedia nobilita l'uomo e riesce a farlo attraverso una parola che non sia estremamente eletta, ma neppure eccessivamente bassa, non degna di sopportare l'insormontabile forza provocata dalla materia raffinata proposta; una parola che possa essere flessibile rispetto alla sfumatura che il peccato e la condizione dell'uomo assumono. 

Si può, in qualche modo, definire la Commedia distante dal proprio tempo, dalla propria vita? Certamente no, per il semplice motivo che aderisce ad ogni epoca entrando con moderata intraprendenza nel piccolo microcosmo che la vita di ciascuno di noi rappresenta. Nell'Inferno si riesce a cogliere l'essenza più dionisiaca degli esseri umani, che contribuisce a spingerli verso un piacere impetuoso e, ormai, irrefrenabile, non contenuto nei limiti di ciò che all'uomo è concesso per lasciarsi andare all'illusione che possa esistere la tanto agognata felicità terrena; si assapora, dunque, la corruzione che i tempi hanno inevitabilmente marchiato sull'anima dell'uomo e la limpidezza dell'ingenua nobiltà che, invece, dovrebbe caratterizzare l'istinto umano nel suo agire. L'itinerario rappresenta un percorso di purificazione in cui si fa strada, Regno dopo Regno, l'idea che anche per l'uomo vi sia possibilità di rivalsa dal male che ha incontrato e dal quale si è lasciato abbagliare, rendendosi sempre più concreta e delineandosi nella possibilità che possa realizzarsi. 

E fondamentale, in questo panorama, diventa il Paradiso, con il ricongiungimento con quel divino di cui noi siamo una piccola scintilla, ma di cui custodiamo l'essenza più riposta. 

Il motivo ricorrente del viaggio è la salvezza dell'uomo, che può avvenire solo attraverso la sua volontà, in piena rispondenza con quanto sostenuto dalla dottrina cattolica; ma altrettanto importante è anche lo scandagliare la realtà in cui si vive per ricostruirla facendole assumere una forma più affine a ciò che gli uomini dovrebbero tenere come modello, in campo religioso ma ancor prima etico e morale. Ecco, dunque, che si riscopre una fiducia nelle possibilità dell'essere umano che è perennemente in contrapposizione con la fragilità della fermezza che la volontà dell'uomo può raggiungere. E poi il senso di assoluto, di eterno, l'aspirazione ad una felicità che possa soddisfare la necessità innata in noi di sentirci realizzati. Vi sono diversi modi di interpretare queste sfaccettature che abilmente Dante ci propone, quasi fosse un esperto pittore che dipinge la tela dell'eterno; ma i valori che egli trasmette sono unici e inequivocabili, inevitabilmente riconducibili alla vita di ciascuno di noi. La rettitudine, o, perlomeno, la volontà che essa possa ridestarsi nel nostro spirito: questo l'augurio del lettore che diventa l'autore stesso, dell'uditore che diventa lo stesso narratore, e, risollevandosi da una sua caduta, aiuta ancora oggi noi, a distanza di quasi un millennio, a rialzarci dagli inciampi in cui incappiamo per via di atteggiamenti, situazioni, comportamenti distorti e non consapevoli del peso che portano in sé, attratti con veemenza dalla contezza del primo motore immobile che verrà ripreso dalla filosofia aristotelica.

Dante potrebbe assurgere al paladino che si erge a modello di una visione poliedrica del reale, in cui il contesto morale va a combaciare con quello politico e poi con quello sociale, completandosi a vicenda nell’intento di formare le diverse personalità che li animano. 

La Divina Commedia è l’Opera, in cui si riesce a concentrare la complessità che ciò che ruota attorno all’uomo può inglobare; in essa si riescono a riscoprire i principi che stanno alla base di una buona convivenza all’interno di una civiltà, ma ancor prima di una buona convivenza con la propria persona nel sacro e inviolabile rispetto di ciò che di intangibile vi è. 

Dante è più che un poeta-vate: è colui che ha il compito di mettere in guardia gli altri sulla base di un’umiltà e un apprendimento conseguiti a causa delle proprie stesse azioni, che lo hanno condotto alle condizioni in cui esso si trova nel momento in cui decide di intraprendere questo viaggio mistico e di far svanire la nebbia che impediva agli uomini del suo tempo (e quindi, come per effetto domino, alla personalità umana di sempre) di osservare rettamente il reale. Sarà proprio la fiducia nell’opportunità che si possa tornare sui propri passi che indurrà l’audace scrittore a ritrovarsi <<nel mezzo del cammin di nostra vita […] per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita>> e a narrare la sua avventura, quella di tutta l’umanità, che ci riporterà <<a riveder le stelle>>.                                                                                                                   

Laura Azzinaro, IV A QUADR

Articolo proposto dal Prof. Flavio Nimpo.

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