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Il seguente racconto trae ispirazione dalla tela omonima dell’artista Aldo Toscano

flavio

Come sei malconcio, amico mio. Io resto chiuso tra le mie domande e mi affido ciecamente alle mani della fede, mentre tu mi osservi ricurvo, deformato, scruti le mie mani giunte e posate su un curioso libricino, forse il Vangelo o la Bibbia o qualunque cosa mi leghi a Dio.

Questo vagone ci costringe a sfiorarci l’un l’altro, ma tu appari indiscreto, d’altronde non ti restano che questi occhi, così diverso da me, ma quasi in simbiosi. Chi sei? Non ti conosco e ti sto già giudicando, forse sbaglio, ma sei talmente privo di grazia che lasci in me un alone di curiosità e anche di lieve disgusto. Queste pennellate larghe, quasi abbandonate di fretta, delineano le nostre figure, ci lasciano cristallizzati su una tela senza tempo e senza luogo, ci ricoprono di colori scuri, sentimenti misteriosi, ma dell’uomo di ieri, dell’uomo del 1973, come di oggi. E non ti illudere, spettatore, oltre che essere umano, che vicino a te non ci sia chi ha bisogno di aiuto, il diverso, il tuo opposto, ma anche colui che ti completa, la persona indispensabile. Eppure non vede il mio cuore questo apparente sciagurato! Anche io, con gli occhi chiusi e ricolmi di serenità mista a consapevolezza, sono riuscito a scorgere solo un uomo malridotto, senza speranza, ma, forse, in lui, lo straniero che mi impaurisce, si cela il mio compagno di vita, oltre che di viaggio. 

Continuo a sperare imperterrito che distolga quello sguardo silenzioso e dalle mille parole, ma, poi, lo sento, ad un tratto, tanto vicino e solo, un po’ come me.  Siamo due mondi lontani esteriormente, ma prossimi nell’anima? Questo sguardo è un punto di contatto fra di noi? 

Senza forma mi sento, non riconosco più me stesso, colui che medita, i valori che finora ho professato. Eppure non riesco a resistere a quei due occhi spalancati, uno rivolto verso il finestrino, per vedere la bellezza là fuori, l’altro piantato su di me, che sembro imperturbabile, ma nascondo un momento di caos interiore. Magari questo treno è la mia vita, il lento procedere delle rotaie con incidenti di percorso è il mio cammino spirituale pieno di difficoltà, chi ho al mio fianco è temibile, ma parte di me. Ho conosciuto un piccolo spazio della mia solitudine e l’ho riempito con l’espressione di chi non mi apparteneva fino a pochi istanti fa, ma ora mi invade e riempie di gioia la tristezza dei miei giorni. Quello sguardo insolente, che inizialmente ha infastidito l’orgoglio dentro di me, ora mi fa comprendere l’importanza di un ponte che ci faccia saltare negli altri, scoprirli, ancor prima di giudicarli. L’espressione vivente dell’umanità sta proprio nell’espressività dei nostri occhi, varchi aperti alle emozioni altrui e ai sogni da perseguire con insistenza, sensibili, parlanti. Ho proprio il dovere di ringraziare chi, nella sua giovinezza, ha dato vita al mio personaggio, l’artista Aldo Toscano, e devo a lui un abbraccio speciale per aver premonito che, purtroppo, sarei esistito in qualsiasi epoca, anche oggi, dopo anni dalla mia comparsa. 

Sparirò mai? Sparirà la persona incapace di osservare dentro gli altri? Io, comunque, continuo a sperare, qui, da solo, anzi infinitamente completo.

                                                                                                                    Alice Rizzo,  II A Quadriennale

 
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