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I LIBRI SCELTI DAGLI STUDENTI DEL GRUPPO DI LETTURA LIBER-I PER IL PREMIO  DELLA CULTURA MEDITERRANEA.

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L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi

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L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi è un romanzo dello scrittore emergente Giovanni Di Marco. Elemento distintivo del libro è il titolo, che allude ai due aspetti essenziali della vicenda: la morte e l’istituzione ecclesiastica, della quale viene messa in evidenza la profonda corruzione dei costumi. In effetti, la storia di Tonino si apre con il funerale della madre morta prematuramente dopo aver dato alla luce il fratello Salvatore.

Durante la celebrazione della funzione religiosa viene comunicata la notizia dell’attentato al papa Wojtyla, perciò il centro dell’attenzione dei presenti si sposta dalla commemorazione della defunta alle gravi condizioni di salute del pontefice. I cittadini di Calatafimi sono completamente assorbiti dal tragico evento fuorché Tonino, che vorrebbe che tutti partecipino al suo dolore e che venga attribuita la giusta importanza alla scomparsa della madre. 

Il piccolo protagonista, nonostante l’indifferenza dei compaesani, comincia ad avvertire i frutti dell’assenza materna: il padre si è rifugiato nell’alcol ed è diventato più taciturno; la sorella ha iniziato a manifestare i primi squilibri psicologici e tutti si relazionano a lui con estrema pietà e compassione. Unica ancora di salvezza, luce nel buio della sofferenza è Tania, vicina di casa di Tonino e con la quale il bambino si confida. La donna è espressione dell’emancipazione femminile in un paese retrogrado, per questo si trova spesso in contrapposizione con gli usi della collettività mostrando un disprezzo incondizionato soprattutto verso la chiesa che, a Calatafimi, è rappresentata dalla figura di Padre Alfio. 

Il parroco comincia ad avvicinarsi al protagonista e le sue attenzioni, dapprima quasi paterne, sfociano in violenza sessuale. I suoi abusi segnano profondamente il bambino portandolo ad auto annientarsi; il giovane comincerà a frequentare cattive compagnie, a fumare, drogarsi e a maturare una visione del sesso del tutto distorta. Soltanto toccando il fondo, quasi ad un passo dalla morte, Tonino riuscirà a ritornare sui propri passi. 

Il libro ci regala un finale ancora da scrivere, in cui le sorti del personaggio principale non ci appaiono ben chiare ma alludono alla speranza di una nuova vita, costruita sulle macerie di quella precedente. Il romanzo di Giovanni Di Marco lega l’orizzontalità e la crudele concretezza del mondo terreno alla verticalità ed astrattezza del mondo ultraterreno, essi si mescolano continuamente e sembrano spesso confondersi. Assistiamo inoltre alla personificazione della morte che prende per mano il protagonista e sembra non volerlo abbandonare, e dei silenzi nei quali circolano pensieri inespressi, un vero e proprio fardello che logora i personaggi dal profondo della loro anima. 

Ogni creatura è un’isola

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Scritto da Andrea De Spirt, Ogni creatura è un’Isola, è un romanzo dalla trama e dallo stile originali. Il libro affronta una tematica molto delicata e spesso taciuta, il suicidio,  raccontata attraverso l’esperienza di un giovane, colto dall’improvvisa morte del fratello, probabilmente suicida. Del defunto gli rimane solo un libro incompleto, all’interno del quale sono scritti una serie di pensieri confusi e spesso male espressi. Il protagonista deciderà perciò di intraprendere un viaggio su di un’isola, posto in cui si presume si sia consumato il suicidio del fratello, nel tentativo di terminare il libro e soprattutto di indagare circa le cause della sua morte. 

Il romanzo non presenta la convenzionale divisione in capitoli; in effetti, la narrazione è affidata alle riflessioni del protagonista disposte in ordine cronologico. In tal modo ci è possibile penetrare nell’intimità del narratore, percepire il dolore dovuto alla perdita del fratello e ripercorrere il suo travagliato vissuto. Difatti il giovane parla della madre, della perdita di suo padre, delle sedute con la psichiatra e della propria costante paura del fallimento e della solitudine. Il termine paura viene infatti sostituito con “pinguino”, in modo da ridurre ad un essere dolce e innocuo tutto ciò che nella vita più ci spaventa. 

Infine il titolo appare come una chiara metafora dell’esistenza umana, di cui l’autore riesce a delineare un perfetto quadro psicologico. L’isola è un richiamo alla natura solitaria e individualista dell’uomo, egli è circondato dalle acque della solitudine e dell’indifferenza che gli ostacolano la visuale sulle altre terre emerse, è perciò quasi completamente concentrato su sé stesso, sui propri affanni e preoccupazioni, lo è troppo per curarsi di quelle altrui. In tal senso, gli abitanti dell’isola di cui è ospite il protagonista sono la piena personificazione del luogo in cui abitano: vivono insieme ma non sanno nulla l’uno dell’altro. 

Maria Di Liddo 

Gruppo di Lettura LIBER-I