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PERCHÉ CONOSCERE DANILO DOLCI, IL GANDHI ITALIANO 

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Danilo Dolci, nato a Trieste nel 1924, ma “siciliano” per scelta, si trasferì nella Sicilia arretrata e povera del Secondo dopoguerra, dove le persone morivano di malnutrizione, di fame e per mancanza di un lavoro. Il Gandhi italiano, così viene definito Dolci, iniziò una battaglia sociale per i diritti dei più poveri, con il coinvolgimento della popolazione direttamente interessata, attraverso gli strumenti della lotta nonviolenta, con un metodo preciso: non osservare dall’alto il degrado generale, ma entrarci. 

È con la collaborazione, sosteneva Dolci, che si raggiungono i risultati, ma è con l’arte della maieutica che si stimola la coscienza; infatti, attraverso il dialogo, riuscì a far emergere sia i bisogni che le potenzialità di ogni cittadino, soprattutto di quelli da sempre esclusi dal potere. “Come pensi possa cambiare la tua situazione?” Era questa una delle semplici domande che Danilo Dolci poneva spesso ai suoi interlocutori.

Nella sua rivoluzione continua e aperta, Dolci si unì a chi viveva il disagio e la povertà in prima persona, per superare quelle forme di dominio che affliggevano la Sicilia: la mafia e le istituzioni immobili. 

Contribuì allo sviluppo del territorio e alla lotta contro la mafia, partendo dal presupposto che, per liberarsi dal ricatto della malavita, serviva restituire alla gente i propri diritti fondamentali: il lavoro, l’istruzione e i beni primari come acqua e cibo. Nel 1952 il suo primo digiuno per protestare contro la realtà inaccettabile per cui ancora si poteva morire di fame nell’Italia post-bellica. Convinto che nessun cambiamento potesse concretizzarsi senza una partecipazione diretta, che dal confronto nascessero le idee e prendessero corpo i progetti, fece costruire la diga sul fiume Jato che permise di liberare le risorse idriche dal controllo della mafia. Così dalla prima radio locale italiana (chiusa dai Carabinieri il giorno successivo all’inizio delle trasmissioni) venne lanciato l’appello per la ricostruzione del Belice, funestato nel 1968 da un terremoto che uccise quattrocento persone e costrinse 70.000 sfollati a vivere per diverso tempo nelle baracche. 

Passò dai digiuni, singoli e collettivi, allo sciopero alla rovescia del 2 febbraio del 1956, quando, con un gruppo di disoccupati tentò di asfaltare una strada sterrata di Partinico, resa impraticabile dalle buche e dal fango, che doveva servire per collegare il paese ai campi. Un atto simbolico per dimostrare che c’erano tanti uomini disposti a lavorare e che era invece il lavoro a mancare, non per assenza di necessità, ma per disinteressamento delle istituzioni. “Facciamo un lavoro vero – spiegò Dolci –per rendere palese che anche a Partinico c’è una grande ricchezza, il lavoro; che le braccia non mancano al possibile miracolo di cambiare la faccia di quella terra”. Proprio in questo giorno ci fu l’arresto di Dolci e di altri sindacalisti, che dovettero affrontare il cosiddetto “Processo all’articolo 4“.

Dunque Danilo Dolci è un personaggio, forse troppo poco valorizzato e studiato, che merita di essere conosciuto per il suo coraggio, la sua forza di volontà e l’attualità dei suoi ideali. Attraverso la sua azione pacifista e di rivoluzione culturale, è riuscito a dare voce a chi non l’aveva mai avuta e a portare alla luce piccole, grandi storie di sofferenza e degrado davanti alle quali nessuno, ieri come oggi, dovrebbe rimanere indifferente. 

Simona Giordano, Alessandra Pasqua, Giulia Scarpelli

classe 2B Ord

Articolo inviato dalla Prof.ssa Antonella Ventura

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