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UN'ANALISI DELL'INTRAMONTABILE EROINA VIRGILIANA

parafrasi enea e didone

Didone, dopo che l’amato marito Sicheo è stato ucciso a tradimento da Pigmalione, fugge da Tiro verso una nuova costa del Nord Africa, dove edifica Cartagine. 

Fuggito da una Troia in fiamme, è proprio qui che Enea, il pio eroe per eccellenza, trova rifugio. I racconti di Enea hanno affascinato la regina Didone. E, grazie all’intervento di due dee, Venere, desiderosa di aiutare il figlio e Giunone, intenzionata a impedire a Enea di giungere nel Lazio e di fondare una nuova città, i due si innamorano.

Durante una battuta di caccia, infatti, a causa di un fortissimo temporale, Didone ed Enea sono costretti a rifugiarsi in una caverna, dove viene finalmente celebrata la loro unione. Come ci racconta l’autore, però, “quello fu il primo giorno di morte”, poi causa del tragico epilogo. Spetta, dunque, a Giove ricordare a Enea qual è il suo destino. Gli invia Mercurio con il messaggio di ripartire al più presto da Cartagine, di raggiungere l’Italia e fondarvi una nuova stirpe destinata a dominare il mondo. Con una gran pena nel cuore, senza avvertire Didone, Enea si prepara a partire. Venuta a conoscenza del fatto, nel pieno del suo sentimento amoroso, la giovane regina medita la propria morte. Ecco che allora, con un inganno, convince la sorella Anna ad allestire un rogo su cui viene deposta la spada di Enea. L’ultima notte di Didone è segnata da mille pensieri che si affollano nella sua mente riguardo alle possibili alternative che rimangono, ma tutte troppo misere per essere seguite. A causa del tradimento della memoria di Sicheo, la morte appare come liberatrice e giusta punitrice allo stesso tempo. Enea, nel frattempo, affretta la partenza e si allontana. Quando, però, la regina lo scopre, va su tutte le furie, perde la ragione e lancia su Enea una terribile maledizione: che non ci sia mai pace, ma “odio inestinguibile” tra i suoi discendenti e quelli di Enea e che sorga un vendicatore capace di renderle giustizia, perseguitando i coloni Troiani e la stirpe di Enea. Didone, dopo aver appiccato il fuoco e maledetto il suo amato ancora una volta, si getta sulla sua spada. Anna, ignara del reale motivo di quel rogo, giunge troppo tardi, non riuscendo a fermarne il sangue che scorre copioso. Giunone, che insieme a Venere  aveva sospinto l’eroe Troiano fra le braccia della regina, mossa a pietà per quella vita che si spegne ancora nel fiorire degli anni, ma che tarda ancora a trovare la quiete della morte, invia sulla Terra Iride a liberare la sventurata da quei tormenti. Iride apre in volo le sue ali dorate, va a posarsi accanto alla regina agonizzante e le recide il capello che lega il mortale alla vita terrena. Soltanto allora l’anima di Didone abbandona il corpo e si dissolve nell’aria. 

Da questo amore sfortunato e dalla maledizione della regina offesa e tradita avrebbe, dunque, avuto origine l’inimicizia, poi sfociata in guerra, tra Cartaginesi e Romani. 

I due popoli si opposero in tre lunghe guerre, tutte vinte dai Romani, fino alla completa distruzione di Cartagine. Nel corso della seconda guerra punica, un “vendicatore” di Didone c’era stato: il comandante cartaginese Annibale, che sbaragliò a più riprese l’esercito romano, giungendo addirittura alle porte di Roma. Virgilio, nell’Eneide, vuole presentare il passato di Roma come una realtà che affonda le proprie radici nel mito e fa dell’episodio di Didone una delle tappe fondamentali della storia della civiltà romana. 

La vicenda di questo amore tormentato, pur essendo intagliata nel mito, offre un ritratto assolutamente contemporaneo. Il momento più doloroso è sicuramente quello dell’annunciato distacco, in cui Enea rivela la sua imminente partenza. Ella, mossa da incredulità mista a dolore, cerca di smuovere in lui un sentimento compassionevole. È questo il momento in cui abbassa ogni difesa, si abbandona alle lacrime e pone in secondo piano la propria dignità, ma Enea rimane inflessibile, poiché gli dei gli hanno affidato una missione da compiere. Il Fato stesso determina le sue azioni. Dopo aver mostrato il proprio dolore ed anche la sua debolezza, dunque, la regina si sente impotente davanti al muro di indifferenza sollevato dall’eroe. È la fase della disperazione! Lo stato furente e tormentato le mostra un’unica via d’uscita: la morte.

                                                                                                                                                                                                   Alice Cennerazzo II E

Anche Dante, nel II cerchio del canto V della Divina Commedia, cita Didone; nel canto di altri due amanti infelici, Paolo e Francesca. La inserisce nella schiera in cui si muovono sospinte da un vento senza sosta, proprio come in vita erano trascinate da una forte passione, le anime dei lussuriosi. 

Didone rappresenta la lucida follia dell’amore, è un amore che si carica di lacrime, suppliche, rabbia e persino di odio e disprezzo. Si perché l’amore non conosce ragioni. Con la sua grandezza invade l’animo umano fino a possederlo e fa dimenticare tutto ciò che gira attorno. Nell’irrazionalità di questo sentimento ci riconosciamo un po' tutti e ci assomigliamo pure! Niente di più illogico, pazzo e irragionevole, è l’amore; è un’esplosione che coinvolge cuore, anima e sensi. Perché lui, il più grande dei sentimenti arriva e prende tutto e l’unica cosa che ci resta da fare è arrenderci a questa forza misteriosa e dirompente. E così quando arriva brilla e noi cadiamo dentro a quell’abisso pieno di luce. L’amore è quella cosa per cui valga la pena di vivere o morire, come nel caso della bella Didone; è il motivo per cui decidiamo di andare avanti, ancora e ancora, nonostante tutti i muscoli del nostro corpo, comandati dalla ragione, ci dicano di fermarci. L’amore ci spacca dentro, è estasi e tormento, è irragionevole, altrimenti non si chiamerebbe amore. Al di là della sofferenza e dei cuori infranti, perché c’è sempre un cuore spezzato, il fatto di aver conosciuto e vissuto l’amore, anche solo per un effimero e fugace istante, ci ha donato l’eternità. E questo è il regalo più bello che la vita potesse farci! 

Personalmente alla tragica fine avrei proposto tutt’altro epilogo. Se non cadi nel patologico, come certi miei amici, il dolore passa. E se trovi un altro cuore il dolore passa prima! Certo questo tipo di affermazione non rispecchia il mio modo d’essere, cioè profondamente romantico. Credo, infatti, non sia così facile superare un simile stato di delirio, ma la mia giovane età mi fa pensare con “leggerezza” al fatto che esista la possibilità di risollevare un cuore infranto. Eʹ il mio modo di guardare avanti, oltre le cose, consapevole del fatto che questa meravigliosa esperienza che è l’amore tornerà a bussare alle porte di ognuno. E’ già successo, perfino a Didone! Vedova di un uomo che ha amato e che presto ha sostituito con Enea, uomo per cui ha perso la testa. C’è poco da ragionare: lei così bella, affascinante ed intelligente, chissà quanti uomini avrebbe potuto incontrare nel corso della sua vita! Chissà quante persone avrebbero manifestato il desiderio di amarla, ma questo non lo sapremo mai perché lei, non vedendo altra via d’uscita, non ha dato a nessun altro la possibilità di poter affrontare nuovamente il discorso amoroso. Atteggiamento sbagliato il suo, a parer mio, perché non tutti gli uomini sono cattivi come Enea! Eppure, quando leggo la storia di Didone, mi sale l’ansia perché, consapevole della fine che su di lei si sta abbattendo inesorabilmente, le vorrei urlare di scappare via, salvarsi e lasciarlo perdere. 

Il mio meraviglioso epilogo, consiste proprio in questo, nel voltare pagina e, all’assurda forza del dolore risponderei con un’energia maggiore, dettata dalla possibilità che tutti abbiamo di cambiare tutto; dipende solo da noi. E se le cose sono andate in un determinato modo, noi dobbiamo fare i conti con ciò che è successo, non con ciò che poteva accadere. Sarebbe bello se le cose andassero sempre come noi vorremmo, ma purtroppo non è così. La scelta migliore da fare è quella di non piangersi addosso, solo così saremo pronte a sfatare quell’odioso luogo comune che identifica l’universo femminile come la controparte debole di quello maschile. Eʹ pur vero che l’amore non risparmia nessuno e include anche gli uomini in questa sofferenza, ma noi, noi donne intendo, per quanto delicate ed amorevoli, siamo munite di quella marcia in più, di cui tutti parlano, che è fonte inesauribile di forza. Quella forza necessaria per chiudere un capitolo e riaprirne un altro, magari anche più bello! Eʹ questo il modo migliore che io conosca, pensare positivo e riprendere, sempre e comunque, in mano la propria vita, che è preziosa e speciale proprio come quel nuovo amore che è pronto a sbocciare.

 

Articolo inviato dal Prof. Flavio Nimpo

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