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foglia

Nella storia del genere umano spesso gli uomini sono stati associati a elementi naturali capaci di rappresentarli in modo emblematico e di porre in rilievo loro caratteristiche rese icasticamente. Le mille sfaccettature dell’indole umana hanno trovato espressione nel mondo della natura spingendo autori, fin dall’antichità, a proporle in prosa e in versi. Una delle similitudini più frequenti, nel corso del tempo, è stata  quella degli uomini assimilati alle foglie.

Ciascun poeta ha adottato in modo differente questa figura retorica, rendendo l’immagine viva, ricca e senza tempo. 

 

Se rivolgiamo lo sguardo al passato e, in particolare, all’età arcaica in Grecia, si ritrova il contributo di Omero, che nel libro sesto dell’Iliade accosta le stirpi degli uomini alle foglie e ricorda che, quando <<nasce l’una l’altra dilegua>>. Il suo intento era di paragonare la vita umana alle stagioni passeggere, che, pur permettendo il rigenerarsi delle foglie, rimandano a un’esistenza di breve durata. In un secondo passo  l’autore fa riflettere nuovamente sulla sorte precaria degli uomini, in maniera più diretta: <<mortali meschini simili a foglie/ che adesso crescono in pieno splendore e tra poco imputridiscono esanimi>>. Un concetto che, per quanto sia crudele e diretto, riprende pienamente il tema dominante dell’Iliade, ovvero le guerre, contro le quali l’uomo lotta ed è condannato per natura, sfidando se stesso e il destino per la conquista della gloria e la vittoria sulla morte. 

Successivamente Mimnermo ha accostato gli uomini alle foglie, per sottolineare la fugacità della giovinezza e come questo periodo felice  e memorabile per tutta la vita sia destinato a finire. L’armonia degli opposti, che emerge in tale riflessione, è la letizia, la serenità, che è, però, contrastata dalla vecchiaia e dagli affanni che lo accompagnano. Contrariamente a Omero, Mimnermo non si concentra più sulla fugacità delle stagioni, ma sulla primavera dell’uomo che sfocia in un triste inverno, ovvero sul divenire della vita umana. Nell’Eneide, invece, Virgilio rielabora l’immagine, per descrivere la moltitudine delle anime sulla spiaggia dell’Acheronte, in attesa di essere traghettate: <<Quam multa in silvis autumni frigore primo/ lapsa cadunt folia>>. In questo accalcarsi si avverte un senso di tristezza e malinconia, tipico dell’atmosfera autunnale. Nella Divina Commedia Dante ricorre alla stessa immagine nel III canto dell’Inferno, nel medesimo contesto in riferimento alle anime dei dannati: <<Come d’autunno si levan le foglie/ l’una appresso de l’altra, fin cha ‘l ramo/ vede e la terra tutte le sue spoglie, / similmente il mal seme d’Adamo/ gittansi di quel lito ad una ad una,/ per cenni come augel per suo richiamo>>.

Mentre Virgilio si concentra sulla pluralità, Dante si riferisce al modo in cui le anime si imbarcano seguendo gli ordini di Caronte: in entrambi i poeti, però, si ravvisa intensità icastica, pregnanza di significato, avvolto in una struggente aura di malinconica tristezza. A distanza di secoli Giacomo Leopardi, leggendo i versi dal titolo “La feuille” di Antoine-Vincent Arnault, compone in ottonari e con libera interpretazione “Imitazione”, di cui non si conosce con esattezza la data della sua composizione, ma che è pubblicata per la prima volta nei Canti nel 1835. Nel confronto con la poesia di Arnault si coglie la maggiore poeticità della lingua italiana rispetto a quella francese e, inoltre, Leopardi rende più efficacemente il rapporto sottinteso tra il destino della foglia e quello dell’uomo: 

La foglia di Gian Vincenzo Arnault

« Staccata dal fusto,
povera foglia secca,
dove vai tu? - Non lo so.
La tempesta ha spezzato la quercia
che solo era il mio sostegno.
Col suo soffio incostante
lo Zeffiro o l'Aquilone
da quel giorno mi spinge
dalla foresta alla pianura,
dalla montagna alla valle.
lo vado ove il vento mi mena
senza compatirmi o spaventarmi,
vado ove va ogni cosa,
ove va la foglia di rosa
e la foglia d'alloro.


La foglia di Giacomo Leopardi

Lungi dal proprio ramo,
povera foglia frale,
dove vai tu? Dal faggio
là dov'io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
dal bosco alla campagna;
dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
dove naturalmente
va la foglia di rosa,
e la foglia d'alloro.

Mentre Arnault rievoca il proprio vissuto in relazione all’imminente esilio, Leopardi assimila alla fragile foglia la sorte di ogni uomo, il quale si confronta con la fugacità e la caducità, che portano via anche la bellezza e la gloria, simboleggiate nella foglia di rosa e d'alloro. Conclude questo rapido e breve percorso tematico Giuseppe  Ungaretti con la sua poesia ermetica “Soldati”, che riesce ad attribuire alle sue parole una profondità immane e suscita nel lettore sensazioni diverse: <<Si sta come/d’autunno/sugli alberi/le foglie>>. Forse la similitudine delle foglie è quella che più ci rappresenta, perché noi siamo deboli e fragili, in più occasioni cerchiamo di dimostrare la nostra forza, ma poi, quando giunge l’autunno, perdiamo il senno e ci lasciamo coinvolgere dalle nostre emozioni. Nonostante ciò, riusciamo, comunque, a riprenderci, calandoci nella ciclicità delle stagioni e rinascendo di nuovo in primavera.

 

                                                                          Francesca Carbone,  III A Quadriennale

Articolo inviato dal Prof. Flavio Nimpo