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INCONTRO CON IL PROF BANTI

wonderland

“La cultura di massa è cultura di intrattenimento”. Così ha cominciato il suo discorso Alberto Mario Banti, professore di storia contemporanea dell’Università di Pisa durante l’incontro con i ragazzi per la presentazione del suo nuovo lavoro WonderlandLa cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, giorno 6 aprile 2018 presso la Biblioteca del liceo B. Telesio.

Il lavoro a cui il professore si è dedicato negli ultimi sei anni di studi tratta della massificazione della cultura grazie alle grandi corporations, soprattutto inglesi e americane, che hanno portato alla costruzione di giganti dell’industria, pronti a scegliere quali contenuti portare sugli schermi mondiali e decidere così il condizionamento di tutti gli utenti.

La cultura mainstream, cioè la cultura dominante diffusa dalle grandi industrie, cinematografiche e musicali, è una cultura finalizzata a imporre, o almeno far passare dei contenuti dal chiaro intento morale, così da evitare che gli spettatori si debbano sforzare nel definire ciò che per loro è bene o male. Questo tipo di cultura nasce nel 1933, dice il professore, con la prima visione della favola-cortometraggio I tre porcellini  in cui i personaggi sono chiaramente identificati come positivi e negativi e che presenta, alla fine, il famoso e desiderato happy ending, cioè il lieto fine. Il motivo per cui questo tipo di cultura nasce e si diffonde così velocemente si può scovare nell’aspetto socio-economico del periodo: nel 1929 si era diffusa dall’ America, e poi nel Vecchio Continente una grande crisi, e una risposta ottimistica si cercava nel cinema, che proponeva una risoluzione a tutti i problemi, anche solo per 15 minuti. È proprio questo il binomio che lo storico mette alla base della diffusione del mainstream, cioè paranoia-ottimismo: il cinema offre rassicurazioni in una realtà che le nega, permettendo al fruitore di smettere di pensare al peggio per un po’ di tempo.                        

Effettivamente, questo tipo di cultura di massa non ci ha mai lasciato, anzi ha fatto in modo da creare personaggi che ci sono stati accanto per anni, soprattutto grazie alla collaborazione che inizia a crearsi  fra le varie corporazioni di diverso genere: un personaggio promosso dall’industria hollywoodiana viene ripreso anche nei fumetti, nei programmi radiofonici, diventando così parte della quotidianità di chi lo vive.  È il caso, per esempio, di Superman, supereroe creato nel 1938, che ancora oggi troviamo nelle sale cinema e nei fumetti. Insieme a lui vengono creati anche altri personaggi, tra cui Lanterna Verde, Capitan America, Wonder Woman, personaggi della Marvel, acquisita da poco dalla Walt Disney. A questo tipo di cultura dominante, ma profondamente rassicurante per lo spettatore, si inizia a contrapporre dal 1960 un movimento del tutto contrapposto, portato avanti dall’offerta musicale, specialmente da un cantante americano, Bob Dylan, e due band, datate 1960 e ’62 , fondamentali per la nostra cultura, The Beatles e The Rolling Stones. Esse riescono a creare un tipo di musica che si oppone a quella mainstream per contrapposizione di temi, giacché dove prima trovavamo contenuti morali e didascalici, ora si vanno a creare temi e melodie che portano avanti la non-scelta: le canzoni presentano una storia, che deve essere giudicata dall’ascoltatore. La stessa fama è condivisa, per esempio, dalla canzone Hey Joe di Jimi Hendrix, che presenta una storia evitandola di definirla moralmente, lasciando libero chi ascolta di pensare ciò che crede sia giusto.                                                   

I generi che creano la rivolta sono sicuramente il blues e il rock, che diventano espressioni della diversità dei giovani seguaci, spesso proprio per andare controcorrente e avere la possibilità di far passare messaggi diversi da quelli tradizionali: è anche attraverso questo tipo di musica che passano le spiacevoli lotte americane, come quella contro la segregazione raziale e il conseguente movimento per i diritti civili portati avanti da Martin Luther King e successivamente anche da Malcom X, oppure quella contro la sottomissione femminile, trattata per esempio in You don’t own me di Lesley Gore. Questo filone diventa quindi un nucleo metaletterario alternativo grazie al sostegno dell’industria hollywoodiana, con la produzione di film diversi dai tradizionali, come Bonnie & Clyde o Easy Rider, in cui c’è una difficoltà di immedesimazione nei personaggi, perché questi sono molto più realistici, in quanto presentano il bene e il male che è in loro, senza lasciare una traccia con cui il pubblico può orientarsi.  

“Perché allora l’industria hollywoodiana ha permesso che passasse del materiale così diverso da quello tradizionale, se voleva mantenere un controllo sulla cultura di massa?”: la domanda sorge  spontanea. Ad essa i il professore ha risposto  con una affermazione spiazzante: il fine dell’industria non è educativo, né conformativo in senso stretto, ma deve soltanto cercare di incentivare la vendita; come vendeva il mainstream con la produzione Disney, se c’era guadagno anche nel produrre materiale di questo genere, non c’è motivo di vietarne la produzione o la vendita .  Allora perché la produzione controcultura si esaurisce, mentre ciò non succede con il mainstream? Il dualismo culturale si ferma durante gli anni ‘70, in cui si diffondono le idee marxiste e i “rivoluzionari” lamentano la mancanza di temi di questo tipo all’interno della corrente controculturale (tuttavia, se era nata come corrente che doveva lasciare una scelta alla società non poteva ritrovarsi a trattare dei temi itineranti, esprimendo così un chiaro giudizio).

Così si chiudeva una stagione importante della nostra cultura, una stagione in cui tutto ciò che veniva preteso era un po’ di libertà per scegliere liberamente la propria opinione. “Wonderland è quindi la terra degli scarti del mainstream”, ha concluso l’autore, e oggi il fenomeno potrebbe riprendersi con la nascita dell’hip-hop e delle nuove serie tv che presentano uno schema non troppo chiaro con le divisioni dei personaggi. Ancora è troppo presto per definire se stia nascendo una nuova controcultura, che questa volta potrebbe avere il supporto di internet, anche se, secondo lo storico, esso presenta una struttura troppo frammentaria per lo scopo, in quanto dirotta solo verso quello che cerchiamo, senza invogliare a cercare altro di diverso. Tutto ciò che dobbiamo fare è sperare, perché, se e quando nasce una cultura controcorrente,  crea qualcosa di meraviglioso, che finisce per coinvolgere tutto il pubblico.

 

Adua Gervasi, V E 

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