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GLI EFFETTI TOSSICI DI UN PATRIARCATO DURO A MORIRE

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Si possono riconoscere facilmente. Camminano per strada tenendo in mano un biberon e un bavaglino mentre con l’altra spingono a fatica un passeggino. Vivono senza l’aiuto di nessuno. Puliscono casa e nel frattempo si occupano dei figli. Nel tempo libero invece stabiliscono il menù per cena e non hanno alcun interesse al di fuori della famiglia.
La cultura maschilista insegna loro che il lavoro è una cosa per uomini e che l’indipendenza non fa per le donne. Escono, ma solo se accompagnate dal marito perché è necessaria una persona forte al loro fianco, in grado di difenderle visto che è stato fatto credere loro di essere troppo deboli per cavarsela sole. Le “vere donne” inoltre, non rinunciano alla propria femminilità e mantengono sempre compostezza ed eleganza. Percepiscono la sessualità solo come una questione di coppia che ha come scopo primario la soddisfazione del bisogno maschile. Loro sono fragili, immature e troppo poco intelligenti per gestire le spese della famiglia oppure per esprimere un’opinione su argomenti come il cambiamento climatico, la fame nel mondo o la politica. A questo pensano gli uomini. Loro sì che ne sanno di più perché studiano. E nel frattempo le “vere donne” cominciano dopo la maggiore età a pensare al loro abito da sposa. Perchè si, il patriarcato le preferisce così. Senza grandi ambizioni per il futuro. 
E se invece la realizzazione personale delle donne fosse attraverso la carriera? O se  la loro felicità fosse proprio all’interno di una famiglia? O attraverso la famiglia e la carriera? Sarebbero meno donne? Di certo diventerebbero una minaccia per il patriarcato. 
L’etichetta delle “vere donne” ha dato origine, purtroppo, a conflitti fra donne stesse. Ecco perché la loro coesione contro il problema degli stereotipi di genere, sembra sempre così lontana. 
Si tratta di stereotipi legati al modo di vestire: se le donne indossano dei tacchi a spillo, una gonna corta e una maglia con una scollatura profonda, sono etichettate come “donne poco serie” (come se la serietà dipendesse dai centimetri di pelle lasciati scoperti). 
Si fa riferimento a stereotipi secondo i quali l’unica funzione delle donne è quella di procreare. Se una donna non vuole un figlio, è donna a metà. Lei non capirà mai il vero senso della vita perché non ha partorito. E ci si comincerà a domandare cosa abbia di sbagliato per non sentire l’istinto materno. Il suo utero diventerà una questione pubblica. Questo è il motivo per cui sono ancora troppe le madri che hanno deciso di mettere al mondo un bambino solo per evitare un giudizio negativo e non per un vero desiderio di maternità.  
 È qui che si può percepire quanto sia tossica la retorica delle "vere donne”: una costruzione sociale deleteria,  perché ha il solo scopo di intaccare la libertà femminile nella gestione del proprio corpo, della sessualità e dello stile di vita. 
                                                                                                                                                                                                                     Marianna Crocco, II B Eur
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