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RECENSIONE AL FILM  IL PRIMO RE DI MATTEO ROVERE

Roma non fu costruita in un giorno, ma fu eretta con la spada e con il sangue di due fratelli”.

Di questi due uomini ben conosciamo i natali difficili, la storia travagliata ed, infine, il dramma che trascina uno nelle ombre degli Inferi e l’altro nella gloria dei secoli. Il primo re ( 2019) diretto da Matteo Rovere, che inizia in medias res proprio come nelle narrazioni epiche, ci aiuta a ricordare la vicenda di Romolo e Remo con la crudezza e la ferocia del mondo selvaggio in cui sono cresciuti i due fratelli.

La scrittura del film, ad opera dello stesso regista, con l’aiuto di Filippo Gravino e Francesca Manieri, ha impegnato al lavoro anche storici, linguisti e glottologi dell'Università La Sapienza di Roma. Il primo re, infatti, è scritto e recitato nel protolatino arcaico, un idioma ricostruito (con sottotitoli) dai forti suoni gutturali che dona realismo all’ambientazione e rende ancor più affascinante la visione del film. Nonostante la violenza e la carnalità delle scene, che si riflette sulla scenografia e sulla fotografia, scarne ed essenziali, così come sui dialoghi brevi e spezzati, tutto concorre al successo della pellicola. In questo insieme di sangue, lotte e fango che si amplifica in ogni aspetto della regia, gli spettatori si trovano coinvolti nella storia, partecipi di un mondo barbaro di grande effetto emotivo. È fin dai primi istanti di proiezione che si delineano i destini e le attitudini dei due fratelli: la prima scena, proprio come l’ultima, vede protagonista Romolo che invoca la ‘Triplice Diva’ di placare la pioggia battente. La preghiera viene miracolosamente esaudita sotto lo sguardo incredulo e scettico del fratello Remo. A causa di una tempesta i gemelli infatti scampano all’esondazione del Tevere. Fatti prigionieri, poi, delle genti di Alba insieme ad un manipolo di uomini, sono costretti a combattere l’uno contro l’altro durante una ‘lotta rituale’, che riescono a superare facendo leva sulla loro grande simbiosi. Portano con loro gli altri prigionieri e ne fanno un vero e proprio piccolo popolo. Romolo (il bravo Alessio Lapice), ferito gravemente, chiede a Remo - interpretato da Alessandro Borghi, famoso per il recente film Sulla mia pelle e per la serie Suburra - di portare con loro la Vestale (Tania Garribba), custode del Fuoco sacro. La dura verità, tuttavia, arriva per tutti e in questo caso lo fa per bocca della inquietante ed oscura Vestale che vaticina: uno dei due fratelli ucciderà l’altro ed il vincitore sarà destinato a fondare una città eterna. La sentenza gela Remo, che dimostra la sua debolezza umana ma anche la sua forza ‘ideologica’: la paura lo assale, condanna la ‘maledetta’ Vestale ad essere straziata dalle belve della foresta per rinnegare la religione. Dinanzi agli occhi increduli del fratello, appicca il fuoco ad un villaggio appena conquistato (“Eccoti il fuoco, fratello”). Il fuoco ardente accende anche l’animo del placido Romolo che decide di fare di quella gente superstite il suo popolo. Sulle sponde del Tevere i due si ritrovano: prima, da alleati, sbaragliando gli uomini di Alba, poi, da avversari. Romolo, colui che rispetta le tradizioni e la religione, trionferà. Eppure, Remo non risulterà mai un personaggio da considerarsi nemico, dimostrerà amore fraterno ma anche pragmaticità, senso del sacrificio e coraggio. Le sue azioni ed i suoi comportamenti, animati da una spinta egoistica ed individualista, trovano, nell'insieme delle tante rinunce da lui fatte, una scusante che porta gli spettatori a commuoversi davanti al suo cadavere sulla pira. È un personaggio complesso e di grande spessore psicologico. Agli antipodi vi è Romolo apparentemente in ombra rispetto al fratello. Sarà tuttavia la sua magnanimità a colpire lo spettatore, amplificata nel momento di onnipotenza tirannica del fratello e complementare all’altro personaggio. Affinché Remo non perda troppo il suo charme tipicamente romano a seguito della sua furia folle, c'è bisogno di Romolo che, se in un primo tempo ci fa sembrare il fratello un mostro, ci permette di ricordare gli aspetti positivi del suo carattere. In effetti Roma sarà fondata da entrambi: dalla hybris di Remo e dalla pietas di Romolo, l'una non è senza l'altra e così Romolo non sarebbe stato senza Remo.

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Ciò è espresso chiaramente nel film, nell'alternarsi dei due caratteri, nella contrapposizione fra due narrazioni diverse: la prima caotica e guerresca dominata da Remo, la seconda determinata e vittoriosa dominata da Romolo. 

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Ruolo chiave ha la Vestale, unico vero personaggio femminile del film, certo quello più intrigante -pressochè assente nelle fonti sul mito di fondazione- che riesce a trasmetterci emozioni contrastanti. Pur rimanendo all'apparenza una figura di secondo piano, relegata in qualche modo al ruolo di oggetto del desiderio di Remo, la Vestale rende palese la statura tracotante dell’eroe, che si rivela in modo particolare nel momento in cui gli profetizza il suo destino.

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Proprio a causa dei suoi vaticini infatti si manifesterà la hybris di Remo che, noncurante del culto, in uno straordinario delirio di onnipotenza, arriva ad identificarsi con la divinità. Determinante la presenza del Fuoco sacro - affidato in sogno da Ettore ad Enea nell’Eneide virgiliana - custodito qui dalla Vestale dall’inizio alla fine del film, dalla vittoria sui nemici alla sconfitta di Remo, fino alla sua morte. E’ il simbolo del ruolo decisivo svolto dagli dei nella fondazione di Roma: vincerà e fonderà Roma, non il più forte, Remo, ma colui che ubbidirà al volere divino, Romolo. Il primo re è un film capace di ammutolire la sala per la sua capacità anche di legare il passato più remoto all’oggi. Da terre sconosciute e culti ignoti siamo improvvisamente catapultati per analogia nella realtà viva e crudele dei nostri giorni, intravedendo nella condizione di molti migranti di oggi la ricerca instancabile di una Casa.

 

CLASSE IV B EUROPEO

Articolo inviato dalla Prof.ssa  Adelaide FONGONI