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Intitolazione Cammalleri

L’INTITOLAZIONE DELLA SEZIONE DEL FONDO ANTICO, PRESSO LA BIBLIOTECA DEL LICEO, ALLA PROFESSORESSA CONCETTA CAMMALLERI.

 

Ad un anno di distanza

dalla sua scomparsa, il 15 Giugno scorso è stata intitolata alla Professoressa Concetta Cammalleri la Sezione del Fondo Antico presso la Biblioteca del Liceo Classico “B. Telesio”. In tale occasione i suoi familiari hanno donato ai presenti (e sarà disponibile per quanti desiderino riceverla) la pubblicazione dal titolo Frammenti dell’anima, curata dalla sorella Manuela, che raccoglie versi e pagine di riflessioni, come si legge nella prefazione, << ritrovati per caso>>. La cerimonia si è svolta nell’atmosfera di una sentita partecipazione intrisa di commozione, raccoglimento, intensità. L’intervento del Dirigente, Ing. Antonio Iaconianni e quello del Direttore della Biblioteca, Prof.ssa Antonella Giacoia, hanno messo in luce con efficacia e tratto discreto e delicato il profilo della donna e della docente, che si è sempre spesa per i suoi cari e per i suoi alunni, dei quali ha avuto cura, provvedendo alle loro esigenze umane e formative. Sono stati ricordati il suo spirito libero, il suo amore per la conoscenza e per i viaggi, il suo rapporto schietto e sincero con gli altri. Le parole fluivano accompagnate da immagini, che scorrevano e proponevano istantanee di vita, momenti significativi, vissuti da Concetta Cammalleri con tutta la sua capacità di esserci e di lasciare traccia di sé. Un ritratto caratterizzato da pennellate poetiche è stato proposto dal Prof. Flavio Nimpo, che ha inteso rispettare l’essenza del riserbo insita nella collega: << Le persone possono assimilarsi a corolle fragranti, che si schiudono, ma custodiscono segretamente l’essenza del sé nel cuore stesso del fiore, perché sia rispettata, oppure a un prisma, a un poliedro infinitamente sfaccettato, capace di mille riflessi e baluginii…Questo per dire che è sempre ardua impresa definire i tratti del nostro prossimo per il fatto stesso che ogni persona merita la sacralità del rispetto e un ritratto di sé dovutamente rispondente. Rendervi partecipi del mio modo di sentire e vedere Concetta equivale a farvi accostare ad un’impalpabile ma pregnante immagine di fiero, indomito, spirito libero. Qualcuno, ieri sera, sentendomi assorto e alla ricerca di un filo, per ricamare sulla persona e sulla docente, mi ha suggerito che, forse, cercavo il filo della libertà… Ed è così…Concetta, per me, è colei che, negli anni dei nostri rapidi incontri per i padiglioni del Liceo, mi ha sempre ispirato un profondo senso di dignità altera, perché intangibile e protetta da se stessa, un’intensa e vibrante essenza di visione lucida e disincantata, che non le ha sottratto mai un’intima profondità d’animo, paragonabile al maiandros greco, a quel senso di infinito che l’ha contraddistinta nell’anelito all’esperienza, al volo libero, all’espressione della propria esigenza di libertà nel rispetto degli altri. Il suo sguardo e il suo sorriso, dietro quella vis ironica, facevano cogliere il respiro di un’umanità fatta anche di fragilità, ma contenuta, perché Concetta è anche e soprattutto esigenza di discrezione e riserbo per la sua vita e i suoi cari. Fra tutti i ricordi, che posso custodire di lei, sfavilla quello di un pomeriggio, in cui amorevolmente si prendeva cura di sua madre a scuola. Era un tempo, in cui ella provvedeva a curare se stessa, ma ancora prima sua madre. In quell’immagine, per me bastevole, credo di aver colto, nella dimensione del nostro rapporto umano e professionale all’insegna dei reciproci silenzi rispettosi, fatti di riserbo e consapevolezza, il senso di una vita ben spesa. Concetta è amore per gli affetti cari, per gli alunni, di cui prendeva a cuore esigenze e drammi. Ella è amore per le nostre care civiltà classiche, che sono possesso per sempre, per rievocare parole tucididee, in cui ritroviamo l’universalità dell’essenza umana. Concetta è la conchiglia marina di Alceo, che meraviglia i fanciulli, è il vibrante alloro di Anacreonte, è nelle stelle lucentissime, che ardono nei versi di Ibico, è nel fiore purpureo della poesia di Saffo, è nella stella mattutina dall’ala bianca di Jone di Ceo, è in quel prezioso bagaglio di sapere umano custodito nelle pagine di Platone, Cicerone, Seneca, è nell’arguzia e nell’ironia di Orazio e dei poeti satirici greci e latini, è in quell’apprendimento attraverso il dolore di Eschilo, vissuto su di sé come esempio per noi. Il dolore è esperienza, che tempra e leviga e induce al rispetto e all’ammirazione, quando si vive con il silenzio degli animi forti. Questa è Concetta per me e volutamente mi attengo a un volo aereo, che non tocchi particolari o dettagli, perché pensare a lei, dal mio punto di vista, equivale a dedicarle la libertà e la levità del soffio di vento profumato. Non a caso più che a episodi del suo vissuto mi attengo a immagini di scrittori e poeti, nei quali ella si ritrova, secondo il mio umile parere. Della sua vita parlano da sé i fatti: il suo agire, i suoi legami affettivi, il suo lavoro con gli studenti, che ha vissuto come sua missione. Il volto di Concetta è per me impresso, ad esempio, in versi di Elisa Biasi, in cui “gli occhi di bambina sono viaggio iniziato dal primo respiro>> <<e la voglia di vedere la fine dell’orizzonte è il proprio destino>>. Nella sua anima <<ci sono tutti i colori dell’arcobaleno>> e la sua anima stessa sa <<che la libertà è un solitario volo: l’infinito>>. Il cuore di Concetta è per me anelito infinito, è quel viaggio descritto nella “Partenza” di Kafka, un viaggio la cui meta, come dice il protagonista, è <<Via – di – qua>>, senza provviste e <<veramente straordinario>>. Il suo cuore è, altresì, il viaggio alla maniera di Hesse: nuove esperienze preziose, per arricchirsi e ritrovare antiche verità in un contesto assolutamente nuovo. Concetta, come racconta lo scrittore per il viaggiatore, è l’animo di chi ha occhi per le cose autentiche e preziose, le stesse che hanno trovato un senso nella vita e sanno seguire la loro stella. Se penso a Concetta come indomito fremito e tenace percorso, non posso che accostarla ad immagini di donna elargite da Alda Merini: per Concetta si potrebbe pensare ai versi che la vedono composta di <<prati verdi e lucciole della notte>>. A lei basta immergersi <<nell’anima e vede l’universo>>. Ella è <<la rondine di una primavera sventata, perché ha sempre dato tutto agli altri e per lei non è avanzato niente>>. Ella è <<una cantante libera, un’entusiasta del pensiero, che s’inerpica su teneri arboscelli e dice che sono alberi grandi>> o, per definirla con versi di Mario Luzi, <<La rondine ultima rimasta/ in alto assetata di chiarore/ noncurante delle altre/ già rientrate al nido, quella/ che da sola spazia/ nei cieli disertati…>>.

Quando, lo scorso anno, in un tempo di cerchi che si chiudevano per molti di noi, ho porto il mio saluto a Concetta, ho colto in lei lo spiraglio di luce verso orizzonti infiniti d’incanto, quel dolce afflato con profonda, azzurra lontananza, che ora è per lei <<altro soffio, scintillamento nuovo>>, come indicano le stelle di Ungaretti, che <<tornano in alto ad ardere come favole>>…E Concetta rivela la sua come esperienza di chi ha saputo guardare al di là delle cose e ora vede…contempla, continua a sorridere alla maniera di chi sa di sé e degli altri…>>.                                                                                                                              

Ha delineato, infine, un suo profilo incisivo e intimo la testimonianza accorata della sua amica carissima e collega, la Prof.ssa Antonietta Cozza, di cui si riportano passi esemplificativi della sua relazione: << È faticoso nell'anima ricordare Conci, come se lei mi fosse confitta dentro come un chiodo rovente che mi brucia forte e mi impedisce di parlare. È stato faticosissimo, credetemi, ancora più per chi, come me, è abituata a parlare in pubblico. Eppure questa volta ho provato una fatica estrema, perché di lei mi abita un mondo nell'anima, come fosse un giardino segreto. Difficile da aprire. Davvero difficile. Forse anche per paura, per reticenza, per protezione estrema. La nostra storia inizia da adolescenti, complicate, sregolate, un po' fuori dagli schemi, in lotta con il mondo, che volevamo cambiare. E inizia proprio, qui, nelle aule del Liceo Classico "B. Telesio", dove lei è ritornata da adulta in qualità di docente. Che strano, vederla qui. L'avrei immaginata un'avventuriera in giro per il mondo e anche io mi figuravo una giornalista da trincea e, invece , entrambe, come un destino che si raggomitola uguale uguale, siamo diventate docenti e mi diceva, prendendomi in giro, di essere più "alta", perché lei abitava il colle - per la posizione alta del Liceo Telesio- laddove io abitavo la valle e, giocando (come facevamo sempre) intorno alla letteratura , il colle era "vestito dai raggi del sole che mena dritto altrui per ogni calle", laddove la valle era "oscura", perché "dabbasso" . Io stavo insomma tra gli inferi e lei tra i superni e il Telesio era ed è veramente in alto rispetto al liceo " Fermi" dove insegno. Come darle torto. Giammai. All'università insieme , lei lungo la strada della classicità, io della modernità, ma sempre parallele ad auscultarci diventando- ho sempre pensato- le due facce di una stessa medaglia, come a compensarci. E proprio per questo negli anni è accaduto che, essendo entrambe docenti, abbiamo " creato" una sorta di metalinguaggio mutuato dalla letteratura e dalla poesia, una sorta di codice attaverso il quale abbiamo imparato a leggere il mondo, le nostre emozioni, i sentimenti, le gioie, i dolori, la fatica della vita. Ci parlavamo per versi come se la parola, quella prosastica, non avesse più un senso per noi, fosse svuotata di significato, perché, poi, ad essere docenti innamorate della letteratura e della poesia, si rischia di diventare estreme, anche " strane", e questo era capitato a noi: raccontare la vita per versi (…). Siamo partite da qui, io e Conci, e siamo arrivate a circoscrivere la poesia di tutti i tempi e di tutte le latitudini, anche quelle più impensabili con scorrerie e saccheggiamenti, come fossimo due predoni affamati. Lei, Conci chérie ,che, per questo, mi appellava Divina Musa, mi regalava i frammenti di Saffo, Mimnermo, Alcmane, Ibico, Bacchilide, Pindaro, Callimaco, Catullo, Orazio, Tibullo, Properzio, solo per citare qualche esempio, perché lei aveva una predilezione per il passato ma soprattutto per il frammento, quel frammentismo poetico che la esaltava poiché, mi raccontava, le consentiva di lavorare sul senso assente del frammento, su quel pezzo mancante sul quale lei costruiva mondi e sovrasensi, in quanto, in qualche modo, il frammento era per lei una sorta di filosofia esistenziale, un modus vivendi (specie quando nella sua vita è comparsa la sofferenza della malattia): la sua vita si era frammentata e lei, ogni giorno, ma proprio ogni giorno, con una tenacia leonina e una pazienza certosina, aveva la necessità ineludibile di rimettere insieme quei " frammenti" talora infinitesimali e dare loro un senso esistenziale importante, roccioso, radicante, puntellante. Il frammento e il lavorio sul frammento (mi fa venire in mente un cesellatore) per resistere al frammentismo con tutta la sua straordinaria contraddittorietà interna. Ma lei ( ma noi) siamo sempre state così fantasticamente piene di contraddizioni e spigolature che diventava quasi la normalità. Ecco il senso allora della poesia che si fa pelle, si fa vestito che si appiccica all'anima. Cercare un senso alla parola poetica rotta e frammentata significava, in qualche modo, dare un senso alla vita, un senso che la portasse oltre perché c'è sempre un aleph, mi diceva, parafrasando Borges, un quid. Quel quid che io, invece, le soffiavo attraverso una poesia più moderna e contemporanea per cui, immaginate, che meraviglia che accadeva, nella quasi fusione di poesie di tutti i tempi e di tutti gli spazi che diventavano il nostro modo di parlare (…). Un gioco di rimandi, di significati altri e plurimi in cui si intravede un mondo intero. È strano a parlarne oggi e davanti a voi e, tuttavia, parlando per la prima volta di questo sovramomdo poetico che abbiamo costruito, Conci torna al mio cuore in tutta la sua straordinaria creatività, capace di tessere e intessere trame narrative, raccontandomi la sua vita, complessa per molti aspetti, anche irrisolta, una vita che talora le stava un po' stretta…(…). Questo, dunque, mi raccontava in versi e anche molto di più e io rispondevo in versi disegnando con lei un universo parallelo che entrambe abbiamo abitato, perché, in fondo, la poesia ha rappresentato la nostra catarsi e il nostro porto salvifico, come ci racconta Ungaretti (…). Conci starà sempre qui, tra noi e con noi e soprattutto con quella forza, che l'ha sempre contraddistinta, quella dei Samurai, che hanno virtù speciali…>>.

Con il cuore colmo di una ridda di forti emozioni all’ascolto dei sopracitati interventi, si è proceduto, poi, al momento più intenso: l’intestazione della Sezione del Fondo Antico ha rivelato agli occhi dei presenti lo scintillio della targa in cui si legge: In perpetuum tibi lux. Ave atque vale. Al termine della cerimonia ognuno, congedandosi, ha potuto portare con sé il senso di questo omaggio di luce per colei che ha saputo lasciare traccia luminosa della sua vita.

 

                                                                                                                                                                       FLAVIO NIMPO